Sunday, November 23, 2014

senzabidet/4


Ritengo sia mio preciso dovere avvisare tutti gli italiani che qui, negli Stati Uniti, è in atto una pericolosa cospirazione contro di noi. Anzi, a essere più precisi, contro le nostre parti intime. E' un vero e proprio complotto anti-bidet, ed è capillare, insinuante e subdolo. Ho le prove.

Circa un mese fa, in casa mia è cominciato l'insidioso capitolo "lavori di restauro del bagno," che io, incauta, ho affrontato con piglio deciso, piena di ottimismo. Sono partita in quarta e ho ordinato alla designer -- una tipa dalla voce melliflua, enormi gioielli in argento e l'evidente presunzione di essere la sorella di Alvar Aalto: "Fai come vuoi, sposta quello che vuoi, ma inserisci un bidet." Lei mi ha guardato con occhio vitreo e ghigno passive-aggressive, ma io ho fatto finta di non farci caso, e ho continuato assertiva, per bloccare sul nascere i suoi inevitabili "se" e "ma" da artista frustrata: "Guarda cara, questo è un dettaglio non-negoziabile. It's non-negotiable." Poi, ho sorriso mielosa. La designer ha annuito rigida, ha raccolto le sue eleganti cartelline color cartone beige, le ha infilate nella sua shopper di cotone grezzo biologico, e se n'è andata lasciandosi dietro un inconfondibile odore di patchouli misto a disapprovazione. "Chi se ne frega," ho pensato trionfante. "Disapprovasse pure. Ho vinto io."

Qualche giorno dopo, mi arriva il progetto. Un bel disegno di un ambiente chic, tutto bianco, dalle linee pulite, con piastrelle semplici ed elegantissime. E senza uno straccio di bidet. Mi sale il sangue al cervello. Questa designer l'ho già inquadrata, a ogni passo fa finta di dire di sì, poi inserisce quello che vuole lei nei progetti, sperando di farmi cambiare idea con la tattica del fatto compiuto. Varie volte ho lasciato andare. Ma stavolta ha esagerato. Pensa sia proprio deficiente? O che non ci veda? Abbella, guarda che sul bidet non si scherza.

Le mando un'e-mail di una riga: "Dov'è il mio bidet?"

Lei, senza fare una piega, replica subito: "Ah, sì, me ne sono dimenticata. Rimedio subito." E ti credo, con quello che ti fai pagare per ogni ora di lavoro, chette frega a te? Poche ore dopo, arriva il progetto revisionato, con tanto di bidet. C'è una nota in cui mi spiega che a causa della modifica, adesso dovremo far costruire gli armadietti su misura, e il lavandino sarà meno spazioso, e infine bisognerà inserire nuove tubature.

"E quindi, quanto pensi verrà a costare?" chiedo, con una stretta al cuore.

"Non so, chiediamo ad Andy," fa lei, con un risolino malvagio nella voce. Andy è il capomastro. Lo consultiamo e lui, dopo aver esaminato il progetto e avermi tenuto con il fiato sospeso per una settimana, mi informa che le modifiche costeranno "un cinque-sei mila dollari in più." Gasp.

Sono in ambasce. Non so che fare. Sono tanti soldi. Però il bidet… Il bidet… Interviene da New York perentoria la zia di Gabriel, la quale, nelle sue funzioni di nostra principale finanziatrice nonché spettatrice fedele di reality immobiliari in TV, sa tutto di restauri e si pronuncia con sicumera su ogni nostra decisione. "Metti il bidet giapponese," mi fa, in tono che non ammette repliche. "Funziona benissimo." Si tratta del water con spruzzino incorporato nella tavoletta, con tanto di comandi elettronici. Mi è sempre sembrato una sciocchezza. "Ma tu come lo sai? Che funziona bene, dico," le chiedo io, già fiaccata nell'animo. "Ce l'hai a casa tua? L'hai mai usato?" "Ma no!" esclama la zia, come se avessi detto la scemenza del secolo. "Figuriamoci che ci faccio io, col bidet. Mai usato. Io il bidet non lo uso." Poi, a mezza voce, come quando si parla di cose scandalose: "Me l'ha detto un'amica mia." Ah, allora.

Vado in crisi. Sbatto i piedi in terra come una bambina che fa i capricci. Io non lo voglio, sto cavolo di bidet giapponese, uffa. IO VOGLIO IL BIDET ITALIANO!!! E BASTA!! Nessuno mi dà retta qui, nessuno mi capisce. SIETE TUTTI ZOZZONI, urlo al povero Gabriel, che mi guarda spaurito. E FATE PURE I SUPERIORI. Sigh. Sob.

Gabriel mi fa pat pat sulle spalle e mormora: "Amore, facciamo come vuoi tu. Se vuoi il bidet, mettiamo il bidet."

Tiro su col naso, mi asciugo gli occhi, annuisco grata. Poi però rifletto a mente fredda e concludo: cinquemila dollari per lavarsi il sedere forse sono troppi. Ho voluto venire a vivere in America, ho voluto la bicicletta, e mo' devo pedala'. Decido di cedere, eroica, con la morte nel cuore, come Napoleone a Waterloo. Avete vinto ancora, zozzoni americani. Vado col giapponese.

(La saga continua. Prossima puntata: l'acquisto del bidet giapponese)





Thursday, April 24, 2014

senzascontrino


In un negozio di abbigliamento di Los Angeles, provo un paio di pantaloni. Mi stanno, ma sono un po' lunghi. La commessa prende la misura, poi mi assicura: "Il nostro sarto se ne occupera' al piu' presto."

"Va bene," dico io, "quanto costa la modifica?"

"Ma niente, signora! E' inclusa, ovviamente!" Ovviamente? 

Io, sorpresa e ancora un po' titubante: "Senta, non e' che potrebbe rimisurarmeli, per sicurezza? Non vorrei li avessimo fatti troppo corti…"

La ragazza esegue sorridendo, poi mi rassicura: "Comunque, guardi, se non vanno bene, ce li riporti pure, che' li sostituiamo subito."

"Ma, sa… dopo la modifica… non mi pare il caso…" balbetto.

"No, no signora. Stia tranquilla."

"Be' me li provero' con attenzione prima di togliere la targhetta…"

"No, no, tolga la targhetta! Li puo' cambiare anche se li ha messi e lavati."

Non so che rispondere. Tento una debole domanda, alla disperata ricerca di un ritorno sul pianeta Terra. "Qual e' il limite di tempo per i cambi…?"

"Nessun limite," fa lei, senza pieta' per la mia sanita' mentale. "Assolutamente nessun limite. Quando vuole, se non le vanno bene, in qualunque momento, ce li riporti."

"In… qualunque… mom…" gemo.

"Be', certo, c'e' il rischio che non ci sia piu' il modello. Alle brutte, la rimborsiamo in contanti o sulla carta, oppure le proponiamo un modello simile."

"Allora conservo lo scontrino…" bisbiglio, in un rantolo.

"NOOOO, macche' scontrino! Non si preoccupi! Se lo perde, e' lo stesso."

A questo punto e' una certezza: sono entrata in una dimensione parallela, tipo Matrix. Questa simpatica commessa, cosi' efficiente e tranquilla, e' un mutante. Devo fuggire.

Col cuore in gola, stordita, vado alla cassa per pagare. La cassiera, un altro androide, mi da' l'uppercut: "Signora, vedo che ha richiesto una modifica. Vuole venire a ritirare i pantaloni in negozio, quando sono pronti, o vuole che glieli spediamo a casa?"

"Be'… non saprei… quanto viene la spedizione?"

"Ma signora. E' gratis, naturalmente." In preda al panico, afferro l'inutile scontrino e me la do' a gambe.

Qui a Los Angeles vedo cose che voi umani.

Saturday, April 19, 2014

Senzabiglietti


Mi scrive per e-mail la mia amica Jennifer. Annuncia che, con sprezzo del pericolo, lei, marito e figli hanno deciso di passare le vacanze di Pasqua a Roma. Non basta: mentre sono li', vogliono andare a vedere una partita di calcio allo Stadio Olimpico. Come non bastasse, vuole andare a vedere la Roma (si', io sono della Lazio, ALTRE DOMANDE?) e ha bisogno del mio aiuto.

Jennifer mi spiega che ha provato a collegarsi a un sito web per acquistare i biglietti, ma non e' riuscita a capire come funziona. Si sente molto imbranata e si scusa, concludendo: "Lo so che e' una cosa stupidissima chiederti aiuto per una cosa cosi', ma non riesco proprio..."

"Non ti preoccupare," replico io con aria da bravona. "Ci penso io." Ah, 'sti americani, che frane. Si perdono in un bicchier d'acqua. Che ce vo'? In cinque minuti sistemo tutto e je faccio vede'.

Piena di boria, clicco sul link che mi ha mandato Jennifer e vengo condotta sul sedicente sito in lingua inglese del servizio Listicket di Lottomatica. E' una visione raccapricciante. Il traduttore e' evidentemente Salvatore del Nome della Rosa, il quale ha lavorato anche con una certa fretta. Meta' dei link sono infatti in italiano, l'altra meta' in un inglese incomprensibile.

Esempi: "Inserisci nel carrello" e' lasciato in lingua originale, chissa' perche'. In alto a destra, invece, si sono orgogliosamente cimentati nel favoloso "What you can do?", traduzione letterale di "Cosa puoi fare?", da applauso. "Assegnazione diretta del miglior posto" e "Scelta posto dalla mappa" erano troppo faticosi da tradurre, quindi pace, li hanno lasciati in italiano, che' se ci si sforza troppo poi si suda e in fondo l'americano puo' sempre usare Google. Invece "To complete the purchase you are supposed to be logged in" (che in inglese suona un po' come: "Pe' compra', te devi prima registra'") e' piazzato in alto a lettere cubitali, per farci sapere che Salvatore qualcosa ha pur fatto per guadagnarsi lo stipendio.

(Per curiosita', vado a sbirciare la versione in italiano, e scopro che e' ancora piu' criptica. I biglietti, per dire, sono chiamati "Titoli di accesso," mentre a centro pagina c'e' un misterioso link intitolato "Commissioni di servizio Lis," che non ho osato cliccare per puro terrore.)

Comunque, dopo un primo attimo di smarrimento, mi lancio nell'acquisto dei biglietti. Decido di scialare, tanto non sono io che pago, e seleziono "Tribuna Monte Mario Top" che, se ricordo correttamente e' piu' o meno all'altezza della tribuna stampa. Due adulti, due bambini, e… fatto? Macche'. E' necessario inserire data e luogo di nascita di ciascuno. Ma io che ne so?! Telefono a Jennifer.

"Mi servono le date e i luoghi di nascita."

E' basita. "E perche'?!"

"Ti prego di non fare domande. Non sono dell'umore."

Jennifer invia senza protestare un'e-mail con date e citta', e io inserisco. Il sito accetta. Sospiro di sollievo. "Inserisci nel carrello" e …via! Fatto, si'? Ovviamente, no.

Appare infatti una finestra che mi informa che devo registrarmi per poter acquistare. Giusto: you are supposed eccetera. Colpa mia. "Vuoi registrarti?" E per forza. Inserisco pazientemente il mio nome, cognome, data di nascita, indirizzo, codice fisc… Mo' vuole il mio codice fiscale?! Ma chi se lo ricorda? (Sento in testa la voce di mia madre: "Te l'ho sempre raccomandato di imparare a memoria il codice fiscale. Almeno il cartoncino, ce l'hai?" Sta zitta, ma'! Ma che cio'. I carciofi, cio'.). Fortunatamente il codice si puo' calcolare online. Trovo l'apposito sito, inserisco di nuovo, anader taim, tutti i miei dati personali e ottengo la familiare sfilzetta di lettere e numeri. Con un fremito di trionfo, inserisco, et voila'.

Registrazione ultimata? Nooooo, seeeeh. Calma. "Ti arrivera' un'e-mail con un link per completare la registrazione." Ossignur. Vado sull'e-mail, trovo il link, clicco e mi si apre un'altra finestra. "Scegli una password." Maronna ru' Carmine. Scelgo, inserisco, e aspetto. "La password e' troppo debole. Aggiungi un numero." Eseguo, bestemmiando in turco, mentre s'e' fatta l'una di notte e Gabriel dal letto russa come un cinghiale. Mi bruciano gli occhi. "La password e' ancora troppo debole." Aggiungo una maiuscola, credo, o forse una parolaccia, e finalmente la password passa l'esame. Faccio login e… PUF, trovo il carrello svuotato. I quattro biglietti sono svaniti. Devo ricominciare. Ho un conato di vomito.

Reinserisco nomi, date e luoghi di nascita di quei quattro rompiscatole che vogliono andare a vedere gli zozzi romanisti e vengo ammessa al pagamento. Sto praticamente ansimando. Inserisco il numero della carta di credito e va tutto bene. Poi c'e' il billing address e ci areniamo di nuovo. Apro i menu' a tendina e fino alla richiesta di nazione non incontro ostacoli. Appare "Stati Uniti," scelgo Stati Uniti, e sulla citta' ecco l'impasse. Il menu' mi da' soltanto un elenco di province italiane. Alessandria, Asti, Agrigento… Me sta a scoppia' er cervello. Sono pronta a tutto e quindi, con un ghigno diabolico, mi lancio nella follia e inserisco "Reggio Emilia," cosi', per sfregio. Invece di bloccare tutto, il sito non protesta, anzi mi trasporta in avanti. "Verifica carta di credito. Ci stiamo collegando alla tua banca." La verifica passa, io con il batticuore aspetto l'esito finale e… "Declined." Prova ancora e sarai piu' fortunata.

Continuo a provare fino alle due, poi furiosa e stremata, mando un'acidissima e-mail a Jennifer dicendole in sostanza che i biglietti se li comprasse lei che io devo andare a dormire. Poi mi metto a letto e mi pento. Mi sento in colpa. In fondo, quella povera donna mi ha chiesto un piacere… Che amica sono…? Che colpa ne ha lei…? Mi vengono anche pensieri compassionevoli verso la Roma e romanisti. Che male hanno fatto, tutto sommato? Mi addormento con il cuore pieno di bonta' e decisa a non cedere.

La mattina dopo decido che la cosa migliore e' passare la patata bollente e telefono quindi a Roberta e Alessandro, coppia di amici romani capaci di navigare la burocrazia italiana come Ulisse sul Mediterraneo. Raggiungo Roberta e le spiego il problema.

"Ho provato e riprovato sul sito…"

"Quale sito?", fa lei, brusca.

"Ehm… quello di Lottomatica…"

"HA HA HA! Ma lo sanno tutti che quel sito e' un delirio. Lascia perdere. Bisogna andare in ricevitoria."

"Ma, da qui…?"

"Ci vado io. Ciao." Clic.

Passano alcune ore e richiamo. Sono tranquilla, perche' so che Roberta non fallisce mai. Invece trovo Alessandro, il quale mi spiega mesto che alla ricevitoria gli hanno chiesto i documenti di identita' degli spettatori. I documenti ORIGINALI, non le fotocopie. Mi dice che, siccome come me pure lui s'e' intignato, ha quindi attivato un amico di Roberta amico di un dirigente della Roma il quale, addirittura da Trigoria, lo ha informato che nemmeno lui può' far niente per ovviare a questa regola dei documenti, in quanto sancita da una legge dello Stato.

"Ma allora che si deve fare? Andare direttamente da Totti per avere du' biglietti?!", chiedo io, esasperata.

"Dice che l'unica e' Internet"

"Ma se il sito non funziona?"

"Infatti ho provato anch'io e non sono riuscito. Pero' da Trigoria mi hanno spiegato che il sito non funziona bene perche' stanno facendo manutenzione all'Olimpico."

Boh. Rendiamoci conto. Riparano le tubature e si blocca il server Internet. Solo in Italia, aho. Alessandro pero' non cede e dopo qualche ora mi scrive vittorioso: "Ho comprato i biglietti!" Totale: 365 euro, cioe' 523 dollari. Gulp.

Telefono trionfante a Jennifer, le racconto tutto il calvario, e concludo: "Certo, per 500 dollari spero che sia una bella partita."

E lei: "Figurati. A me nemmeno piace, il calcio."












Wednesday, December 11, 2013

senzafalafel



In fila in farmacia con Sara. Le cose vanno per le lunghe, e un uomo anziano dietro di me borbotta senza sosta, appoggiandosi al suo walker (una sorta di passeggino/bastone che va molto in America): "Oh Signore. Oh mamma. Uffa. Aaaah. Che lentezza. Oh Signore, oh Signore."

Dopo cinque, sei minuti di litania, la farmacista mi fa segno che e' il mio turno. Pur di far tacere l'uomo, mi volto verso di lui e gli offro di passare avanti, cosi' si toglie dai piedi. Lui mi fissa negli occhi con un cipiglio carico di sdegno, sta per dire qualcosa di sgradevole, poi abbassa lo sguardo verso la mia pancia e si illumina tutto: "CONGRATULAZIONI!" sbraita a voce altissima, attirando l'attenzione di tutti quelli in coda dietro di noi.

Io sono interdetta: "Eh?"

Lui, con un sorriso a cento denti, indicando la mia pancia e dandomi un'enorme pacca sulla spalla: "Dico, congratulazioni, signora!"

Quasi cado in avanti per la pacca e improvvisamente capisco dove sta andando a parare l'orrendo vecchio. Rispondo gelida e in tono molto basso, sperando che nessun altro senta: "No, guardi. Non sono incinta."

E lui, sempre urlando a squarciagola: "Ma si' che e' incinta! Si vede benissimo!"

Io, tra i denti, sibilando: "Le assicuro di no. Non. Sono. Incinta."

Lui, mostrando un certo smarrimento, ma senza abbassare il volume e continuando a indicare la mia pancia: "No…? Ma... e' sicura? NON E' INCINTA?"

A questo punto la mia voce e' un sussurro da serial killer: "Sono sicura. Si.cu.ri.ssi.ma." Sara mi fissa con terrore. Mi conosce e sa che sto per esplodere. Gli altri clienti in fila mi guardano con sorrisetti maliziosi. Un paio bisbigliano tra di loro sghignazzando e dandosi di gomito. Anche la farmacista, che fino a un minuto fa faceva scorrere la coda velocemente, si e' fermata e, appoggiata al bancone, segue lo scambio ridacchiando. Io sono paonazza per la rabbia e la vergogna.

L'anziano, completamente inconsapevole, insiste: "Mah, se lo dice lei. Immagino che lo sappia se e' incinta o no…"

Immagino che lo sappia?!? Ma io questo lo ammazzo.

E lui, incurante del pericolo, aggiunge: "Ma allora, scusi, what's wrong with your belly? Cosa c'e' che non va con la sua pancia?"

Sento Sara irrigidirsi. Mi stritola la mano, come per dire, "Mamma, ti prego, stai calma." Ma io ormai sono completamente paralizzata dall'incredulita'. Non sento nemmeno piu' la rabbia. Sprofondata nel surreale, rispondo calma ma con un sorriso da film dell'orrore, immaginando di avere i denti aguzzi come la guerriera di Catching Fire: "Avro' mangiato troppo, che ne dice lei?"

Lui, contentissimo, sbotta in una risata di pancia e urla, nel caso ci fosse qualcuno nel negozio che non ha sentito la conversazione finora: "HA HA HA!!!!! HA MANGIATO TROPPO, EH? Too much falafel!!!!!"

Falafel? Ma che dice?

A questo punto, la farmacista finalmente si impietosisce e mi chiama: "Signora? E' il suo turno, venga." Sara mi scruta ansiosa. Mentre ci avviciniamo al banco le sussurro, ormai priva di filtri e/o correttezza politica: "Amore, adesso sai che facciamo? Andiamo da quel vecchiaccio e gli sfiliamo il walker, cosi' cade di faccia e si fa tanto, tanto male."

"Mamma!!! Ma che dici, sei impazzita? Ti prego, non farlo!!"

"Va bene, amore. Ma soltanto perche' me lo chiedi tu." E manco scherzo.




Friday, August 30, 2013

senzacolombo


Al terzo giorno in quinta elementare, Sara sale in macchina e annuncia: "Mamma, oggi abbiamo studiato Cristoforo Colombo."

Ah, che bellezza, penso io. Il grande italiano che ha scoperto l'America. Almeno glielo dicono, che tutto e' cominciato grazie a noi. Sono soddisfazioni.

"Ah, si', amore? E che cosa hai imparato? Che ha scoperto l'Amer--"

"Si', va be', scoperto. Ma lo sai che era un delinquente?"

"...un deli...?"

"Eh, si', mamma, un delinquente. Lui e i suoi uomini portarono molte malattie sconosciute agli indigeni, che infatti morirono a centinaia."

"Va be', mica sara' stata colpa lor--"

"Ma per piacere. E poi, lo sai che obbligavano gli indigeni a pescare le perle, anche se era pericolosissimo, e gli indigeni morivano, e a loro non importava niente? E poi facevano cose bruttissime alle donne."

"..." Sono ammutolita.

"Mamma, la maestra ha detto che Cristoforo Colombo un tempo era considerato un eroe. Ma adesso si e' scoperto che era cattivissimo e per questo motivo il giorno di Columbus Day non e' nemmeno piu' vacanza. Perche' uno cosi' non merita di essere festeggiato."

Non so piu' che dire. Sono sicura che la settimana prossima le insegneranno che il telefono l'ha inventato Alexander Graham Bell. E Antonio Meucci? Niente, un capomafia del Bronx.

Wednesday, August 28, 2013

senzagusto


Un'amica mi invita a cena e mi chiede di scegliere un ristorante italiano. Io propongo di provarne uno aperto da poco, la cui esistenza mi e' nota unicamente perche' si trova a pochi metri dalla mia palestra (generalmente punto zenith della mia vita sociale). Sembra carino, le dico, e poi sulla vetrina hanno incollato un articolo del Los Angeles Times secondo il quale lo chef, tale Vic Casanova, sarebbe in grado di produrre cibo "italiano fino al midollo." Il locale si chiama Gusto, come quel ristorante fighetto al centro di Roma con i camerieri cafonissimi, dettaglio che mi fa sentire un po' a casa. L'amica accetta e ci accordiamo per vederci li'.

Il posto e' piccolo e accogliente, dall'aria minacciosamente costosa. Io e l'amica ci guardiamo e, con un certo timore, ci accomodiamo al tavolo indicatoci da un maitre super-solerte. Abbiamo a malapena poggiato il sedere sulla sedia, che lui, con un entusiasmo vagamente inquietante, fa: "Allora, ladies, siete mai state qui? Conoscete il ristorante?"

Noi, a mezza voce: "Ehm, no, e' la prima vo..."

Lui, con sorriso maniacale: "Ottimo!!" Perche' ottimo? E se avessimo detto si'? Si stressava e ci cacciava via? E perche' e' cosi' eccitato? "Allora, vi spiego come funziona." Come funziona? Come funziona che cosa? Non si ordina, poi si mangia, poi si paga? "Questo e' un ristorante creato da uno chef. Voglio dire, non c'e' un proprietario e poi uno chef ai suoi ordini. Qua Vic e' il capo e lo chef." Buon per lui. Uno stipendio in meno da pagare. E quindi, che vuoi da noi? "Ora, Vic vuole che abbiate un'esperienza gastronomica come se foste nell'Old Country, cioe', sapete, la madrepatria, l'Italia. Vuole che mangiate proprio come fanno li'." Ecco fatto. Quando la buttano sull'autenticita', finisce sempre a spaghetti e polpette. La mia amica, che e' americana, mi guarda di sottecchi e sorride sorniona. Spera che io dica qualcosa, ma io, come un vero giocatore di poker, non cambio espressione. Non mi tradisco. So benissimo di non apparire affatto italiana e di avere solo un vago accento straniero, per cui se non mi auto-identifico posso operare in incognito. E a questo punto voglio proprio vedere questo dove arriva, perche' nel pomeriggio mi sono anche informata e ho scoperto che Mister Casanova e' nato nel Bronx, ha fatto il cuoco a New York, e fino a un anno fa gestiva un ristorante "californiano-italiano" al Four Seasons di Beverly Hills, chiamato (giuro) Culina (lo so, lo so, e' latino, pero' andiamo!).

Il maitre continua il suo discorsetto, porgendoci due menu': "Nell'Old Country il pasto e' composto di varie portate. Quindi l'ideale sarebbe di ordinare una portata da ciascun settore del menu'. Vic consiglia caldamente di fare cosi'." L'uomo si allontana e noi, inebetite, abbassiamo gli occhi sulla carta. "Per prendere un piatto da ogni settore -- dice la mia amica -- dovremmo accendere un mutuo. E poi cos'e' 'sta storia delle portate? Davvero in Italia fate sempre cosi'?" Sto per rispondere che in effetti e' vero, tendiamo sul serio ad avere primo, secondo, contorno, frutta e dolce, quando noto che il menu' e' si', diviso in settori, pero' qualcosa non quadra: ci sono i Piccoli Piatti, poi ci sono Primi e infine ci sono i Piatti. I Piatti?! E i secondi? Li hanno lasciati nell'Old Country?

Quando poi scopro gli errori di ortografia, non mi tengo piu'. "Ma insomma!" esclamo. "Ma un vocabolario di italiano lo venderanno pure, a Los Angeles?!" Si', perche' tra gli antipasti figurano i "ficchi" (figs), mentre uno degli speciali del giorno pare sia condito con "beciamella." Tra i primi troviamo poi gli "Spaghetti Genovese" e i "Ricotta Gnocchi." Italiano fino al midollo, eh? Almeno evitare tutta questa solfa dell'Old Country, dico io, che uno poi ti perdona gli errori. Senno' sai il mal di fegato ogni volta che vai a mangiare fuori, con i vari dining alfresco (cenare all'aperto), piatti di arugula (rucola) e tazzine di caffe' expresso. La mia amica, eccitatissima, risponde subito: "Devi dirglielo, devi dirglielo! Non puoi fargliela passare liscia! Se la tirano troppo! Ti prego! Se non parli tu, parlo io." Io di solito sono troppo timida, ma adesso, con l'amica sul piede di guerra, non posso tirarmi indietro.

Cosi', quando il maitre torna, ordiniamo (tra gli antipasti c'e' la pizza margherita e io, senza vergogna, la chiedo), poi dico: "Scusi se mi permetto, eh, ma ci sarebbero un paio di errori sulla carta." Gelo. Occhio vitreo. Ghigno. "Ah, si'? E quali?" "Soprattutto 'ficchi,' sa, lo cambierei. Ci va una 'ci' sola."

L'uomo mi fissa, mormora rigido, senza sorriso, "Certo, certo, lo dico subito a Vic," e si allontana svelto. E' chiaro che mi ha preso per una pazza mitomane e che a Vic non dira' un bel niente. La mia amica e' indignata. Vuole intervenire. "Non ci ha creduto! Ti ha snobbato! Ora vado a dirgli che sei di Roma!"

Un po' vorrei che lo facesse, ma la vergogna e' troppa e -- a fatica -- la tengo a bada. Pero' poi, come i cornuti, ci ripenso e quindi ecco, oggi, la mia vigliacca vendettina a freddo.


Saturday, August 24, 2013

senzacultura


Seduta nel salottino degli psicologi in training, leggo tranquilla. A un tratto, si siede accanto a me una collega, avvicina la testa alla mia e mi apostrofa a mezza voce e con fare cospiratorio: "Scusa, posso chiederti una cosa?"

Alzo gli occhi, un po' sorpresa per il tono misterioso. "Certo, dimmi."

"Mi sto chiedendo... in Italia, culturalmente dico, e' normale per un uomo seguire e perseguitare la sua donna? Minacciarla di morte, piazzarsi sotto casa sua, eccetera? Sai, una mia paziente e' fidanzata con un italiano, e sto pensando che forse lei non si rende conto che e' soprattutto una questione culturale..."

Alzo la mano per bloccarla. Ecco fatto, penso. Ci siamo. Nell'America politicamente iper-corretta in cui bazzico io, quando un non-WASP (bianco anglosassone protestante) fa qualcosa di assurdo, subito si cerca la giustificazione "culturale." In questo caso, presumo, la questione di cultura si potrebbe riassumere con italiano = yeti. A dimostrazione che a volte la correttezza politica chiude il cerchio e diventa insulto allo stato puro.

Guardo la collega e decido di optare per la vendetta malvagia.

"Eh si', hai proprio colto nel segno. E' esattamente cosi'," rispondo senza battere ciglio. "Da noi, per legge, i mariti devono picchiare le mogli. C'e' scritto nella Costituzione."

Lei sgrana gli occhi. "Pensa te. Allora avevo ragione," aggiunge con una luce di trionfo negli occhi, "e' proprio una cosa culturale..."

"Eh, si', non e' colpa sua, povero ragazzo. In Italia l'uomo, per essere considerato virile, dev'essere violento e infedele. Da noi e' in vigore la poligamia, sai?"

La collega sorride ancora, ma la vedo vacillare. "...Si', eh...?"

Riabbasso gli occhi, e guardando il mio libro, continuo: "Io sono fuggita da Roma vent'anni fa, perche' mio padre mi aveva venduto per dieci cammelli al vicino di casa. Aveva altre sei mogli, sai, ma a casa sua c'erano l'acqua corrente e l'elettricita'. Da noi ci lavavamo una volta al mese. Anche quella e' una cosa culturale. La puzza, dico."

Noto che la collega comincia a capire l'andazzo. "Ah. Stai scherzando," commenta delusa.

Rialzo la testa e la guardo in faccia. "Di' alla tua paziente di chiamare la polizia. In Italia, se uno ci minaccia di morte, tendiamo a fare cosi'. Culturalmente." E mi rimetto a leggere.

La collega si allontana mogia, mogia e pure un po' offesa. Un altro sogno infranto.