Thursday, May 31, 2012

senzaitaliano/2


La nanny mi parla di suo figlio, che ha problemi di linea.
"Sai, gli piacciono molto i Cal-Zoun..."
Penso: hai capito sti americani, che fantasia. Un cibo dietetico a basso contenuto calorico e in piu' adatto alla dieta a Zona. Pero'. Non finiscono mai di stupirti.
Lei: "Ma sai cosa sono, no?"
Io: "No. Mai sentiti. Perche'?"
Lei (scandalizzata): "Ma non sei italiana? Sono un prodotto italiano!"
Euh. Un nuovo tipo di Vitasnella?
Io (un po' vergognosa) "Ma, sai, manco dall'Italia da parecchio... Poi non me ne intendo di roba dietetica..."
"Dietetica?! Ma fanno ingrassare tantissimo!"
Lampadina. "Ah!!! Mai vuoi dire i calzoni?"
"E io che ho detto?! Certo! Sono italiani, giusto?"
Come no. Italianissimi, i cal-zoun. Come Sylvester Stalloun, Al Capoun, e Berluscoun.

Saturday, May 19, 2012

masterizzata

E cosi', esattamente vent'anni dopo la prima sudatissima laurea in Italia, oggi sono salita su un podio con la toga nera, la mantella da Harry Potter e il tocco con il tassello e, con l'oceano Pacifico come sfondo e il sole californiano sulla testa, ho intascato il titolo di Master of Arts in Clinical Psychology.

Ora, e' vero che io sono una cinica italiana, senza religione e senza illusioni. Pero' vi confesso che quando, con la palandrana sulle spalle e in fila insieme ai colleghi laureandi, ho sentito gli applausi della platea e la musica trionfale che ci accoglieva, ho visto le bandiere a stelle e strisce che sventolavano sul cielo azzurro, ho ascoltato l'inno americano con la mano sul petto, improvvisamente mi sono accorta che il cuore mi batteva fortissimo.

E poi ho sentito chiamare il mio nome al microfono, sono salita sul palco, ho preso il diploma con la sinistra mentre stringevo la mano al rettore con la destra, ho sorriso per la foto di rito e infine, nella confusione, ho visto correre verso di me i miei figli saltellanti, sorridenti, orgogliosi della loro mamma accademica e mio marito, dietro di loro, che mi riprendeva da ogni angolo. Be', vi confesso che mi e' venuto un groppone in gola.

Ce l'ho fatta, ragazzi. Il mio sogno americano e' questo. Chiamatemi master.

Friday, May 18, 2012

senzatailleur


Con l'agognata laurea dietro l'angolo, sto frequentando l'ultimo corso del master di psicologia, una classe attentamente pensata per instradarci sul mercato del lavoro. Il programma della classe si puo' riassumere in poche parole: "Adesso che ormai e' troppo tardi e ci avete gia' sganciato tre quarti del vostro reddito per due anni e forse vi siete indebitati per il prossimo ventennio, ci sentiamo leggermente in colpa ma manco tanto, e allora ci decidiamo a informarvi che sono cavoli amari perche' il mercato e' saturo di aspiranti psicologi, l'economia e' in ginocchio e voi sarete probabilmente disoccupati per il resto dei vostri giorni. Pero', se proprio volete sfidare il destino, vi diamo qualche consiglio cretino per lavarci la coscienza."

Andare a lezione e' come ascoltare al rallentatore la canzone "Mio cuggino, mio cuggino," in cui Elio narrava le gesta da leggenda metropolitana di un suo congiunto deficiente. ("Mi ha detto mio cuggino che una volta si e' schiantato con la moto, poi s'e' aperto il casco e s'e' aperta la testa ... Mi ha detto mio cuggino che una volta ha trovato in spiaggia un cane e invece era un topo... Mi ha detto mio cuggino che una volta e' stato con una che poi gli ha scritto sullo specchio 'Benvenuto nell'AIDS...") 

Abbiamo dunque ricevuto i seguenti consigli dal professore:
"1) Se volete aprire uno studio privato, dovete affittare un ufficio a Beverly Hills e apparire piu' spesso che potete in televisione. Un amico mio ha fatto proprio cosi', e adesso, pensate, prende 300 dollari l'ora.

2) Se volete lavorare al dipartimento per la protezione dell'infanzia, sappiate che si lavora tantissimo, le soddisfazioni sono pochissime, i pazienti sono tutti poveracci e la maggior parte dei colleghi non ha voglia di far niente. E' un lavoro duro e molti lo odiano e si licenziano. Pero' un'amica mia ci lavora da vent'anni ed e' contentissima. Quindi, vedete voi.

3) Se volete lavorare come psicologo penitenziario, tenete presente che secondo la legge se i detenuti vi prendono in ostaggio, lo stato con condurra' alcun negoziato per ottenere la vostra liberazione. Me l'ha detto un direttore di prigione con il quale ho fatto un colloquio una volta, quindi e' vero.

4) Adesso vi dico come dovete vestirvi per i colloqui di lavoro. Questa e' una questione seria. Ricordatevi che e' la prima cosa che i vostri esaminatori noteranno. Quando sono stato membro di commissione, vi assicuro che alcuni candidati sono stati scartati per motivi di abbigliamento e le piu' accanite erano le donne. Quindi, la regola d'oro e': non cercate di farvi notare. Niente di appariscente. Orecchini piccoli. Tailleur obbligatorio, meglio se con gonna sotto al ginocchio. Si', si', lo so, Hillary Clinton porta il completo pantaloni, e' vero, ma lei puo' permetterselo perche' ormai e' arrivata (giuro, ha detto proprio cosi'). Evitate colori brillanti: limitatevi a grigio, blu scuro o nero, se proprio volete osare, magari va bene il marrone, ma io eviterei (il marrone, che botta di vita). Niente rosso, rosa, verde, azzurro, per carita'. SEMPRE le calze, anche d'estate. MAI le gambe nude. Le calze devono essere classiche, poi, eh: niente ricami o decorazioni, e per carita', inutile che ve lo dica, mai a rete! Scarpe decolletees classiche, chiuse, tacco medio. Attenzione: vietatissimi sandali o scarpe aperte davanti (forse le dita dei piedi sono particolarmente erotiche? Devo essermi persa qualche puntata). Per l'amor di Dio non voglio nemmeno sentire la parola jeans. Poco profumo, pochi gioielli, poco trucco. E non pensate di cavervela con un tailleur da poco prezzo, eh. Deve essere roba decente, almeno Macy's o Bloomingdale's. Se e' robaccia, si vede, e fate brutta figura."

Mi viene da piangere, primo perche' non possiedo alcun tailleur, ne' di Macy's, ne' di Gap, ne' di Piero il Fichissimo; secondo, perche' mi vedo gia' vestita come la tristissima ragazzina con valigia trolley protagonista di Up in the Air, senza nemmeno uno straccio di George Clooney a consolarmi. Poi pero' ripenso al mio primo colloquio di lavoro, nel Mesozoico del 1991, al quale mi presentai in calzoncini corti di lino e Superga beige. E a quell'altro, al quale indossai un vestitino di lana blu. E a quell'altro ancora, al quale andai - anatema - addirittura in jeans. Qualche volta mi assumevano, altre no, ma non credo che il colore dei miei pantaloni avesse un peso particolare. Come mai mi stavano a sentire, se ero vestita cosi' male? Come mai non mi cacciavano a calci prima ancora che aprissi bocca?

Ma non sara', professore, che tutte queste tue regole sono proprio come gli avvertimenti che mi arrivavano da ragazza, quando ingenuamente annunciavo di voler fare la giornalista? "Ma che, scherzi? La giornalista, tu? Ma su! Pensi davvero di farcela? Prima di tutto, devi trovare la raccomandazione! Se non conosci nessuno non ce la farai mai, sai quanta gente c'e' che scrive meglio di te... E poi il mercato e' saturo, l'economia va male, i giornali non assumono da anni, lascia perdere, cercati un lavoro serio, che e' meglio..."

Ecco, facciamo cosi', va: anche sto giro, il tailleur non me lo compro.

Wednesday, May 16, 2012

senzapubblicita'

Una mamma americana ha fatto causa alla Ferrero perche' nonostante la pubblicita' le avesse assicurato che la Nutella fa benissimo, lei, avendo nel frattempo mangiato pane e volpe, s'e' astutamente accorta che la crema conteneva tanto zucchero e tanti grassi. Ha vinto la causa.

Poi un gruppo di consumatrici, sempre americane, ha fatto causa alla Skechers perche' le famose scarpe "dimagranti" Shape Ups, incredibilmente, non hanno trasformato nessuna di loro in Kim Kardashian, testimonial del modello. Pure loro, giuro, hanno vinto.

Allora io ho deciso di intentare le seguenti cause:

  • contro le mutande Roberta perche' me le sono messe e il sedere e' rimasto taglia 46;
  • il cornetto Algida, perche' nonostante ne abbia mangiati a vagonate, nessun surfista biondo abbronzato e muscoloso si e' mai lanciato all'indietro dal pattino baciandomi;
  • i biscotti Misura, perche' non mi hanno mai fatto dimagrire;
  • tutti gli shampoo del mondo, perche' i capelli fini e appiccicati al cranio erano, e fini e appiccicati al cranio sono rimasti;
  • il caffe' Lavazza perche' ne bevo sicuramente molto piu' di Bonolis, ma di Paradisi e San Pietri finora nemmeno l'ombra (a ripensarci, per fortuna non vedo nemmeno quel deficiente di Laurenti, quindi forse ritiro la causa);
  • la pasta Barilla perche' quando mi sono presentata in ritardo per pranzo con un gatto bagnato in braccio e le scarpe infangate, i miei avevano gia' chiamato la polizia e urlavano come ossessi, poi il nostro gatto ha tentato di uccidere il nuovo arrivato e la pasta comunque a quel punto era scotta e l'abbiamo dovuta buttare;
  • e poi il Mulino Bianco perche' mi devono spiegare quando cavolo "i mulini erano bianchi."
Mi sa che divento miliardaria. Poi vi dico.


Wednesday, May 9, 2012

senzaitaliano

Certo che se davvero voglio che i miei figli parlino l'italiano, dovro' decidermi a impararlo io, per prima. E' questa la mia riflessione quando, seduta sul divano dei miei genitori a Roma, assisto al seguente piccolo show.
Entra Sara: "Mamma, guarda, ti faccio l'imitazione."
Esce dal salotto, rientra con cipiglio, braccio proteso in avanti e mano a carciofo, vociona.
"Aho, a signo', ma che sta' a di'? Ma che' se' scema, aho? Aho, a signo', ma che stai a di', che so' pazza? E mamma mia, aho. ODDIO MIO!" Se ne va, sghignazzando. Poi rientra: "Aho, a tifoso!!! (braccio alzato, pompante, a pugno) Ro-ma, Ro-ma, Ro-ma." Ora, a parte che io sono della Lazio, la scena e' agghiacciante. E stranamente familiare. "Ma sarei io?" chiedo con voce tremante. E lei, ridendo istericamente dall'altra stanza: "Ma che ne so, a signo'? Che te devo di'?" Dio mio.
Entra Ale, ciondolante, con un sorrisetto malizioso. Si siede sul divano accanto a me. Mi guarda in faccia  e intanto lo vedo che pensa. In genere e' un chiacchierone, ma in inglese. Qui ha meno padronanza della lingua. Dopo aver deciso che cosa dire, mi osserva in tralice, con il labbro all'insu' e un guizzo da diavoletto. Poi alza gli occhi al cielo, mette le mani in preghiera e le scuote avanti e indietro. "Aaaah, fijo mio benedetto..." Non riesco a trattenermi, comincio a ridere anch'io. Ho creato due piccoli mostri verdoneschi.
Ale mi fissa soddisfatto, poi dopo una pausa dice, in inglese: "You know Mommy, I'm not really Italian-American."
"No?" faccio io. "E cosa sei?"
"I'm Roman-American."
E ciai ragione, ciai.