Monday, August 27, 2012

senzaaudizione

Domenica mattina da Target, diabolico grande magazzino in cui si trova di tutto e si finisce sul lastrico. I miei figli discutono animatamente nella corsia giocattoli, quando una bellissima ragazza nera si avvicina e, rivolta a me con uno smagliante sorriso, mi chiede: "Sono figli tuoi?"

"Eh?!"

"Dicevo: sono figli tuoi?"

Sono confusa. Mi guardo intorno. Che vuole questa? Mi conosce, forse? Ci siamo gia' incontrate? "Be', si'," ammetto con riluttanza.

"Sono bellissimi, sai?"

Sara e Ale smettono di bisticciare e la guardano a bocca aperta. Io non so che cosa dire.

"Hai mai pensato di fargli fare dello spettacolo?"

Ah, ecco, me stai a da' la sola. "Ehm... Veramente..."

La ragazza, sempre sorridendo, tira fuori un biglietto dalla borsetta e lo porge a Sara. "Domani sera ci sono audizioni gratuite a Century City. Portate questo invito e potrete partecipare. Vedrete, andra' bene! Siamo un'organizzazione seria. Rappresentiamo un sacco di celebrita'. Venite! Vi aspetto!" Altro sorriso luccicante, e la bellona se ne va.

Sara legge il foglietto: "Mamma, qua c'e' scritto che Zach e Cody hanno cominciato da loro. E pure Justin Bieber."

"Si'? Boh. Sara' vero, tesoro?" azzardo, non volendo dire quello che penso davvero.

Sara fa spallucce e studia il foglietto. Intanto continuiamo a girare per il magazzino con il carrello. Nel reparto Cibo per Animali, si avvicina una signora bionda e abbronzata, molto chic in un abito bianco senza maniche. Si rivolge a Sara: "Come sei elegante! Che bel vestito. E come sei bella." Di nuovo, restiamo interdetti. La signora continua: "Vuoi fare dello spettacolo?" Intervengo io: "Signora, grazie, ma la sua collega ci ha gia' invitato." "Ah, avete parlato con Simone? Benissimo! Allora ci vediamo domani sera."

Ale e' furioso. "Perche' quella ha detto solo a Sara che era bella? E io?"

"Ma amore, l'altra ha detto che eravate belli tutti e due..."

"Ma questa invece non mi ha nemmeno guardato! Vuol dire che io sono brutto e Sara e' bella! Sara e' sempre piu' importante! Io sono sempre il piu' piccolo, quello che conta di meno! SOB SOB SOB!!"

"Ma no, piccolino mio, sei bellissimo! Forse quella li' non ti ha visto..."

Sara: "E poi, Ale, forse cercano solo femm--"

Si avvicina ancora la stessa donna bionda e attacca, sempre rivolta a Sara: "Che bel vestito che hai... Come sei elegante... E come sei bella..."

"Signora, senta." faccio io spazientita, "Gia' ce l'ha detto. Gia' abbiamo..." Mi blocco. La guardo meglio. Ha un vestito fantasia, rosa e azzurro. Non bianco. Ma che succede?  Si e' cambiata in meno di due minuti? "Abbiamo... abbiamo..." Illuminazione. "abbiamo gia' parlato, credo, con la sua sorella gemella."

La bionda sorride felice: "Ah si'?! Avete conosciuto Annie?"

Perche', ce n'e' una terza? "Ci ha gia' parlato dell'audizione," taglio corto, allontanandomi decisa.

"Bene, bene. Speriamo di vedervi. Sua figlia e' bellissima. Deve assolutamente venire."

Sara e' rossa di imbarazzo e piacere. Ale d'invidia. Scoppia a piangere. La signora mi guarda terrorizzata. "No," spiego, sperando capisca al volo, "e' che tutti dicono che la sorella e' bella, e anche lui vorrebbe..."

"Ma tu hai bellissimi capelli," fa la signora rivolta ad Ale, indietreggiando impaurita (e peggiorando le cose). Ale ulula: "I capelli?? I CAPELLIIIIII? SONO BELLI I CAPELLI? E IO? NON E' GIUSTOOOOO! SOB SOB SOB."

Quando finalmente Ale si calma, Sara si mette una mano sul petto. "Mamma, ho l'ansia. Promettimi che non dirai a Daddy di questa cosa dell'audizione."

"Eh? Ma perche'? Daddy si fara' una risata."

"No, mamma!! Lo sai lui com'e' moralista. Sara' contrario e tutto serio. NON GLIELO DIRE. Giura!!"

Ecco. Meno di trenta secondi nel mondo dell'entertainment e gia' la mia famiglia e' traumatizzata da gelosie, faide e segreti. Poi dice che da grande uno se droga.


Friday, August 24, 2012

senzamamma

Quand'ero piccola io, la minaccia classica del genitore medio era: "Guarda che ti mando in collegio." Il pensiero di tutti andava subito al terrorizzante Giornalino di Gian Burrasca, sceneggiato anni Sessanta in cui Rita Pavone in versione cross-dressing incarnava le piu' profonde paure del bambino italiano: vita lontano da mamma e alla merce' di direttrici cattive, con disciplina ferrea, letti durissimi e cibo disgustoso. D'estate, il luogo di deportazione immaginario diventava la colonia, presumibilmente perche' i collegi erano chiusi. "Se non stai buono, ti mando in colonia!" sbraitavano le mamme in spiaggia, unte con litri di Bain de Soleil. E i bambini, tremando come foglie, obbedivano e supplicavano di essere risparmiati.

Ora, si da' il caso che a Santa Severa, paesino nei pressi di Roma dove andavo in vacanza io con la mia famiglia, c'era proprio una colonia. Una colonia vera. Era come abitare accanto a Rebibbia. Vedevi cose che gli umani non possono nemmeno immaginare. Alle nove di mattina, per esempio, ti capitava di incappare in tristi gruppi di piccoli prigionieri pallidi come cenci, a capo chino e vestiti di tutto punto, che camminavano mesti verso la spiaggia in fila indiana al seguito di una suora con il cappellone bianco stile Fracchia la Belva Umana. Li vedevi, e pensavi: chissa' che avranno fatto. Saranno criminali incalliti. Alle 11, ora della merenda in spiaggia, i piccoli detenuti erano gia' spariti. Saranno rientrati, immaginavi deglutendo, nelle loro celle. A mangiare, e' ovvio, pane e acqua.

In America, invece, ho scoperto che i bambini VOGLIONO andare in colonia. Almeno cosi' dicono. Qua si chiama Sleepaway Camp, costa una fortuna, e ti strappa via i figli per settimane. Dopo averla scampata per anni, quest'estate anche la mia famiglia e' stata colpita dal morbo. Mia figlia Sara ha annunciato, in primavera, di voler andare al camp con un'amichetta. Mi ha spiegato che tutte le sue amiche ci vanno, alcune per sei, sette, perfino otto settimane. Una va in Canada, un'altra nel Maine, una terza nel Parco di Yosemite. Sara, bimba saggia, ha detto che Malibu, a pochi chilometri da Los Angeles, le sembrava un buon posto per cominciare.

Io ho esitato e borbottato per un po', ma sono stata subito messa a tacere. Gabriel, eccitatissimo, m'ha perentoriamente spiegato che la devo smettere di fare la mamma italiana. Le mamme italiane, ha detto, creano figli pappemolli. Ai suoi tempi, ha proseguito, i superpotenti bambini americani partivano per il camp a piedi, gia' pochi giorni poco la nascita, con uno zaino pieno di pietre sulle spalle. A due anni gia' piantavano la tenda da soli, nella neve, con i denti. A sei andavano a cavallo e radunavano le mandrie di bisonti nel Far West. E' cosi', temprando le giovani generazioni, che si e' creata una grande democrazia, mi hanno poi spiegato le zie, i suoceri, gli amici. E' cosi', bella mia, che si va sulla luna e si conquista il mondo. Mica tenendo i ragazzi nella bambagia, sbucciandogli la frutta per merenda, aiutandoli a farsi il bagnetto la sera, tenendogli la manina prima di dormire. Quegli smidollati mamma's boys che avete voi.

M'hanno convinto e ho accettato. Gabriel si e' occupato dell'iscrizione e della visita medica (come per il militare) e mi ha informato che la partenza sarebbe avvenuta il 6 agosto. Dopodiche', e' tornato alle sue cose. La mamma italiana pappamolle si e' quindi dovuta occupata di tutte le quisquilie, tra cui: stampare la "packing list," cioe' l'elenco delle cose da portare; ordinare su Internet gli adesivi con il nome che sono d'obbligo per qualunque camper che si rispetti; trovare sandali da doccia con il cinturino sulla caviglia perche' le normali infradito sono vietate; lavare tutti gli indumenti in tempo per la partenza. Dopo due settimane di acquisti febbrili, ricerche online e lavaggio di mutande, ho telefonato al camp per fare un paio di domande sulla logistica.

"Buongiorno, chiamo per fare qualche domanda. Mia figlia sara' al vostro camp dal 6 agosto e --"

"Dall'8 agosto."

"Come dice, scusi?"

"Dall'8 agosto, signora. La sessione comincia l'8."

"No, guardi, si sbaglia, mia figlia e' iscritta per il 6. Noi siamo pronti per il 6."

"Interessante, signora. Qua pero' cominciamo l'8."

Imbarazzo totale. Che vergogna. Tutta colpa del senzabidet, ovviamente. Tento, pateticamente, di buttarla sul ridere. "Eh eh eh. Meno male che ho telefonato, eh?"

Con voce serissima. "Gia'. Allora, voleva chiedermi, signora?"

La sera del 7 agosto, sono nel panico. Le valigie sono chiuse, il sacco a pelo arrotolato come un hot dog, i vestiti per domani pronti sulla spalliera della sedia. Sono terrorizzata. Davvero mando la mia bambina a stare con un branco di sconosciuti?? Pero', eroica, fingo di fronte a tutti. Falsissima, sorrido ostentando tranquillita', e intanto penso convulsamente, come un'invasata, a tutte le tragedie che potrebbero avvenire. "E se al camp Sara perde il suo orsetto preferito? E se la rapiscono? E se un terrorista entra nel camp e spara su tutti i bambini? E se un pedofilo la molesta? E se una bambina pazza la uccide nel sonno? Aaaah!"

Mentre tento di calmarmi e ragionare, Sara va in crisi di suo. "Ti prego, mammaaaaaa, non costringermi ad andare!!!"

Io?? Mo' so' io che ti costringo? Ma ve possino, a te e tu' padre... "Stai tranquilla, amore, vedrai che dopo i primi due o tre giorni ti abituerai e starai benissimo. Ti divertirai tantissimo, te lo dico io. Io alla tua eta' avrei tanto voluto andare al camp." E, te dico. Manco morta.

"Ma mi mancherai tanto!!! E se perdo il mio orsetto?"

So' cavoli amari. "Ma dai, e perche' devi perderlo? Non succedera'. E poi, per sicurezza, mettilo in un posto sicuro."

"Aaaaaah, allora lo vedi che significa che POTREI perderlo? Perche' dici di metterlo in un posto sicuro?? Che vuoi dire, che forse me lo rubanoooooo???"

"Ma no amore, anzi, volevo rassicurart--"

"SOB SOB SOB!! E SE MI RAPISCONO? E SE UN MANIACO ENTRA E MI AMMAZZA? E SE UNA BAMBINA PAZZA MI UCCIDE NEL SONNOOOOOO???"

Finalmente Sara si calma e si addormenta, e io mi scaravento di testa nell'armadietto del bagno alla ricerca di una vagonata di Valium.

Il giorno dopo, la casa sembra la spiaggia l'ultimo giorno d'estate. Sempre uguale, ma vuota, irreale, stranamente silenziosa. Ale, stravaccato senza energia davanti alla TV, mi apostrofa: "Mamma, facciamo una copia di Sara, cosi' ce la teniamo qui?" "Buona idea, amore. Gia' che ci siamo, facciamone una versione che ti tratta un po' meglio." E lui: "Nah. Non mi interessa. Io voglio Sara e basta." Piu' tardi, a cena, mastica meditabondo, poi dice: "Sai una cosa, mamma? Io non posso vivere senza Sara." Glop. Gulp. Io e Gabriel ci guardiamo coi lucciconi.

Dopo due giorni, arriva la prima lettera. "Cara mamma, sento moltissimo la nostalgia di casa. Ti prego, vieni a prendermi. SUBITO!!! Baci, Sara."

Ecco fatto. Corro a controllare il sito Web del camp, sul quale in teoria i genitori possono vedere foto e video dei figli in azione. Scorro da una foto all'altra, e dopo averne viste oltre 600 concludo che mia figlia e' stata rapita dagli alieni e scambiata con una coppia di gemelli identici ciccioni e dai capelli rossi che appaiono in tutte le pose possibili e immaginabili.

La prendo con serenita'. Dopo una lite furibonda con Gabriel, il quale sostiene che l'assenza di nostra figlia sia "normale," ("NORMALE??? MA SEI DALLA PARTE DEI GEMELLI CICCIONI, O DALLA MIAAAA???"), scrivo un'equilibrata lettera di lamentele al camp, in cui annuncio che sono in preda all'ansia e devo assolutamente vedere mia figlia. Poi chiamo la madre dell'amichetta di Sara, anche lei desaparecida dalle foto, e lei subito mi dice: "Ma quante foto dobbiamo vedere di quei due ciccioni rosci?? Ho scritto al camp." AHA, dico a Gabriel. LO VEDI CHE NON SONO PAZZA? Ha scritto anche lei. Lui fa un ghigno, poi si allontana guardandomi fisso e rasentando i muri come un agente dell'FBI in fuga dal serial killer.

La segretaria del camp mi scrive il giorno dopo scusandosi, e mi assicura che oggi mandera' il fotografo a cercare Sara. Infatti, la mattina seguente appaiono le foto. Sarebbe stato meglio non vederle. Sara c'e' e ha una faccia da funerale. In una sembra che pianga. GLOP. SOB. Ne parlo con mia madre, la quale dice senza esitare: "Valla subito a prendere." "Ma no, mamma, qua non si usa cosi', qua i bambini vanno temprati..." "Ma se piange?!" "Eh, lo so..." rispondo debolmente. "Dice che cosi' crescono meglio..." "Boh. Se lo dici tu."

Finalmente i dodici giorni passano. Sara torna a casa, e subito si lancia in un elenco delle sofferenze patite. "Mamma, guarda, ho pianto TUTTI I GIORNI. Sentivo tanto tanto tanto la nostalgia di casa. Non sai! Tu avevi detto che dopo due o tre giorni mi sarei sentita meglio, invece ero SEMPRE triste. Anche l'ultimo giorno, ho pianto."

"Amore di mamma! Mi dispiace, piccolina mia!! Allora, l'anno prossimo non ci vuoi andare piu'?"

Sara mi fissa sbalordita. "No, no, che hai capito. Certo che ci voglio andare."


Wednesday, August 22, 2012

senzacittadinanza

Oggi mi sono alzata, e mentre ingollavo una brodaglia beige vagamente somigliante al caffe', ho mangiato due pancake con sciroppo d'acero. Poi sono andata al computer e ho scaricato e stampato due coupon-sconto per un bowling nella San Fernando Valley. Quindi sono salita in macchina e ho portato mio figlio a giocare con le bocce e i birilli. Per pranzo ho ordinato hamburger, patatine e Coca-Cola in un diner annesso al bowling. Per dolce mi sono sparata un brownie al cioccolato (fatto in casa ma con un mix simil-Cameo comprato al supermercato).

A questo punto, io dico: ma ancora parliamo di documenti, richieste, domande in carta bollata? Io voglio la cittadinanza americana ad honorem. Me la merito, tutta e subito.

Monday, August 13, 2012

senzaostia

Sabato pomeriggio. Un amico di Roma in visita in California mi da' appuntamento sulla spiaggia di Santa Monica. Da casa mia, il traffico e il tempo impiegato sono uguali identici a quelli di un qualunque dopopranzo del fine settimana sulla via del Mare. Macchine a passo d'uomo, figlio ululante sul sedile posteriore (la figlia e' in colonia, poi vi racconto), marito alla guida che sbuffa. Anche l'ambiente all'arrivo e' piu' o meno lo stesso che a Ostia Lido. Sole cocente, carnaio sulla riva, bambini che strillano, gabbiani che svolazzano. Dopo varie telefonate di ricerca, trovo l'amico che si sbraccia in mezzo ai corpi sudati e gli vado incontro, mentre rifletto che forse non c'era bisogno di venire dall'altra parte del mondo per sciogliersi insieme a un branco di gente seminuda su un simil-litorale laziale.

"Ha ha, ce sei venuto da Roma per passare un pomeriggio stile Torvajanica!" dico al mio amico a mo' di saluto. "Te pensavi che Santa Monica fosse come Baywatch, eh? E invece, ecco qua!"

"Be', dai, qua forse sono un po' piu' educati..." azzarda lui.

"Certo," faccio io, "e' vero che qua abbiamo i surfisti biondi, le palme, l'Oceano Pacifico invece del Tirreno sporco, la musica dei Beach Boys al posto di Tiziano Ferro, i campi di beach volley... Pero' il casino e' lo stesso, dai."

Il mio amico si guarda intorno, poi fissa lo sguardo su un terzetto proprio dietro di noi. Due attraenti bionde sedute sui teli chiacchierano con un giovane dal cranio rasato, accovacciato davanti a loro, con un asciugamano annodato attorno alla vita come un pareo. Il ragazzo e' proteso verso le due bellezze, e si rivolge a loro con tono confidenziale, guardandole negli occhi, prima una, poi l'altra. Classica posa da rimorchio selvaggio.

Nel vento sul bagnasciuga, mi arrivano solo spezzoni di discorso, ma mi sembra di sentire le parole  "model" e "Hollywood." Il mio amico, con un sorriso beffardo, indica i tre: "In effetti, mi sa che hai ragione tu, qua e' proprio uguale all'Italia. Poi dice che gli americani sono diversi. Questo sta a fa' il lumacone, proprio come a Roma. Je sta a di': 'Esci co' me, te faccio fa' der cinema...'" Ridiamo compiaciuti. E' bello sapere che anche a Santa Monica ci sono i rimorchioni da spiaggia, tali e quali a quelli in azione a Ladispoli.

Il mio amico entra in acqua. Io mi accomodo sul telo con un libro, a meno di un metro di distanza dalle ragazze e il loro corteggiatore. Da cosi' vicino, li sento chiacchierare con chiarezza, e non posso non accorgermi subito che il ragazzo ha un chiaro accento straniero. Sicuramente non e' americano. Lo guardo meglio. Testa pelata, asciugamano firmato, collanina... Oddio mio...

Ma dai, non e' possibile. Non sara' mica...

Come se mi avesse letto nel pensiero, il giovane si volta verso di me, e poi, apostrofando un altro ragazzo con la testa rasata alla mia sinistra, dice forte: "Cam heng aut." Mi si gela il sangue.

E l'amico, in italiano: "Va bene, arrivo. Porto la roba li'?" Poi, alle due bionde: "Ui ar from Turin."

Ah, ecco. Te pareva.